Tellus stabilita

Il 26 ottobre una doppietta sismica c'ha tolto il fiato e il sonno, l'equilibrio e le case e un pezzo di storia. Ma non l'identità. Siamo ancora in piedi.

Pubblicato il 29 Ottobre 2016

Io tremo, e vi accorgerete che sono pur sempre la dura terra. Terra selvaggia. Terra che ancora si muove, che scarta e strappa, nonostante la camicia di forza in cemento armato che le avete stretto addosso.
WuMing+TerraProject, 4, 2014

Pensavo di non sentire nulla di più forte dopo il 1997. Pensavo di non vivere più quel tipo di ansia dopo il 2009. Pensavo di non tremare più sotto quel trave dopo il 24 agosto; non così presto, almeno.

terremoto

L’equilibrio che manca, lo stomaco che ondeggia, le gambe condannate all’instabilità. Sono pochi, in Italia, a non aver vissuto un terremoto, a non sapere di che parlo. Ma stavolta l’epicentro era troppo vicino. Stavolta i mezzi della protezione civile di mezza Italia li vedo passare sulle strade che percorro ogni giorno, assieme a decine di ambulanze della croce rossa quando nemmeno l’ospedale sta più in piedi, lampeggianti e mezzi di soccorso come nei TG ma è la mia terra ad essere ripresa. La mia terra. Non sembra nemmeno lei in TV, così impolverata, illuminata dalle torri faro, silenziosa, ferita. La mia terra s’è scrollata di dosso noi e i nostri manufatti. Ha urlato di dolore, rabbia, odio, e tutti hanno detto la loro su quell’urlo. Tutti hanno percepito una cattiveria inedita, un’energia negativa, affamata, più violenta di ogni altro precedente.

terremoto 2016Il terremoto. Non accettare che le scosse non finiranno mai, in questo martoriato Appennino dove piove sul bagnato – con i crolli che aggravano la situazione solo di chi è rimasto tra i monti già disperato di suo – è voltarsi altrove di fronte alla realtà.
Col terremoto dobbiamo convivere. Siamo marchigiani, siamo abituati a scappare. Dobbiamo rassegnarci. Discuere di magnitudo non aiuta e instagrammare le rovine non è catartico. La terra trema e tremerà per sempre, tra queste montagne che se la terra non tremasse da millenni non sarebbero queste montagne. Tutto è inutile quando la terra trema, quando piove cemento. L’uomo che cerca rifugio da ciò che l’uomo ha costruito – la terra trema, le costruzioni umane crollano – è l’immagine che sublima la precarietà dell’essere umano su una terra che vorrebbe in sua funzione ma che da millenni lo umilia.

Io non so cosa abbia voluto urlarci la faglia inquieta, ma so che c’è un rumore, ho scoperto che esiste questo rumore, c’ho messo tre terremoti e vent’anni ma sotto quel trave con mio figlio che urlava in braccio e il terrore nei nostri occhi che attoniti recitavano «è finita, finisce qui, ora, con un solaio che ci schiaccia e noi che non riusciamo nemmeno a dirci addio, rifarei tutto quello che ho fatto mille volte», ecco, in quei venti secondi quel rumore l’ho distinto, l’ho isolato. Un rumore più terribile dei vetri infranti, degli specchi che le crepe mandano in pezzi, dei tramezzi che si aprono, dei quadri che precipitano, delle bottiglie che ruotano sull’asse, dei libri che si abbattono a terra. Il rumore delle ossa della casa che s’incrinano. Il rumore dello scheletro in cemento armato che si torce. Il rumore della struttura che si piega. Questo il rumore che a ogni sussulto tremo per la paura di ascoltare ancora. Un rumore che non può essere il tuono della terra, la mia terra non può emettere questo orrore. Non ce lo meritiamo.

terremoto 2016Arrivano vagoni letto da ferrovie abbandonate, sorgono tendopoli, gli alberghi della costa si attrezzano ad ospitare sfollati. Marchigianità è scappare, scappare da noi stessi, scappare dalla modernità, dal progresso, dall’attenzione del resto del mondo. Scappare dalle Marche. Ma gli Appennini non te li scrolli via solo con una fuga, quella precarietà, quel sobbalzare a ogni rumore, gli incubi alla vista di ogni cristo che puntella i portanti. Le transenne, le macerie, le lacrime. La notte in auto, sotto il diluvio e i lampi. Gli squarci a X, le linee telefoniche interrotte, i lampioni che saltano. 5.9 un cazzo. I vigili del fuoco che corrono verso le macerie. Un freddo pungente, auto dai vetri appannati e motori accesi. L’emergenza senza regole.

Oggi la terra è ferma. Cerchiamo di illuderci che lo sia. Il ricordo di quella notte negli occhi troppo intenso per sperare di esorcizzarlo descrivendolo, di dissolverlo dando un nome alle cose, asciugando le lacrime al sole. L’inverno alle porte, l’inverno in montagna è più duro di come una penna potrebbe disegnarlo. Torna in mente la neve sopra i container in quel freddo 1997. Immagini che oggi sappiamo non potremo mai consegnare all’oblio. La gente di montagna è forte, è tenace. Sa resistere, l’ha fatto altre volte e lo farà di nuovo. La montagna nel cuore e nelle ossa.
Di quattromila sfollati appena uno su dieci ha scelto l’esodo verso l’Adriatico. Tendono a spingerci verso la costa, come prevedibile. Verso un motore affamato di benzina in ogni stagione. Anche la risposta di Visso e Castelsantangelo e Camerino e Matelica e Fabriano era prevedibile. Un grosso vaffanculo.
Inagibili ma in piedi.



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