Galiza, ademais da batida

Galicia, fin de la historia

Pubblicato il 3 Novembre 2011

Memoria,
emisaria do mar,
que nos mantén un cheiro de recordo:
algo de nós
pureza de altos diás
mentras camiño polo vasta area
e penso no amor
que sempre se comeza nunha praia.
(Xohana Torres Fernández, 1980)

Ritrovi sempre quasi tutto come lo lasci. Il tempo non cambia le cose, le costruisce, o le abbatte, ma non le rende altre.
Il tuo numero il primo che compongo sotto il tricolore del Marconi, la tua voce, l’ultima ascoltata, ora è la prima. Chiudo il cerchio e me ne compaiono troppi altri che non saprò congiungere, non tutti almeno, che per certi disegni servono quattro mani.
Convinto che mi sarei mosso leggero ho trascinato quintali di ancore per mezzo vecchio continente per abbandonarle arenate là all’ultimo, dove un’ancora è naturale che stia, a monito perenne di quanto le parole siano solo parole.
Ogni singolo metro di avanzamento lungo la Valpotenza che mi scorre sotto i piedi mi rosicchia retroattivo i giorni. Questo paese così brutto. Guarda che orrore, c’ho fatto pure duemilaquattrocento cazzo di chilometri per tornarci.
Ancora non mi accorgo, sepolto dalla nebbia, che su questa storia c’ho scritto sopra FINE, che questa storia era archiviata già dall’atto di nascita, che solo quel difetto di pronuncia delle esse tra i denti che ora è diventato fastidioso ne terrà calda l’eco giusto per un po’. Poi si spegnerà tutto. Per sempre.
Apetto tempi peggiori, quelli di cui hai consapevolezza del loro scorrere atemporale, per il bilancio consuntivo. Per rimettere assieme i pezzi che l’Oceano m’ha restitutito in ordine sparso, per valutare gli insegnamenti che ancora non sintetizzo ma me li sento in circolo.
La notte scende sempre più presto e le temperature la precedono. Una decompressione anticipata forzata che mi sta risucchiando cuerpo y sangre. Il fuoco già acceso, la luce assente delle scale di grigio che strangolano questa disperazione.

Se cercavo un’alternativa da tenermi in tasca l’ho trovata. Nel momento in cui qua la ruota che muove tutti gli ingranaggi collegati non girerà più non aspetterò un istante a dimenticarmela alle spalle. Farò di tutto perché non accada, ma siamo esseri limitati. Il limite non è il cielo, il limite è a un metro da te. Il limite è l’altro.
Eppoi non cercavo un’alternativa, cercavo proprio una sostituzione. C’è differenza.
Avrei cancellato tutto questo senza guardarmi indietro, l’avrei rimosso in sette respiri, come se quest’angolo giro di lacrime e sangue non fosse mai esistito. Sarebbe stato semplice, ancora ci credo.
Lo sarebbe stato.
Ma non lo è stato. Non è stato.
M’hai mandato in fumo piani di mesi di confronto serrato tra me e qualche decina di altri me in pochi giorni. Non lo so più se ringraziarti o no, non mi interessa nemmeno più saperlo. E’ andata come doveva e continuerà a farlo. Mi rifugio nel fatalismo e mi nutro di quello che mi viene addosso senza pesarne i contenuti. Fattu ogghi venga doma’, dicevano nei peggiori bar de Sanzevere a cavallo tra i maledetti millenni.

Conto fino a trenta, poi rimuovo l’hardware. Come di là, non mi lamento, mi volto altrove.
Pa’ empezar de nuevo de cero. Altrove, dove però, stavolta, so estrarre la direzione.
Stavolta non mi orizzonto da solo, ti piaccia o meno.
Fin de la historia.
Il cuore ancora batte col respiro atlantico. Quel ritmo ti segna. Le cime degli Appennini mi nascondono l’Occidente, ma chiudo gli occhi e ho quei colori impressi. Li riapro e tra le dita stringo altre dita.
Dentro quel battito. Oltre quel battito.
Deica logo, Vigo. E grazas.

28ottobre-2novembre2011_fine



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