Brasile 2013. Ancora a occhi spalancati (II)

Reportage tropicale, pt.II. Belo Horizonte, Minas Gerais - Rio de Janeiro - Angra dos Reis, Rio de Janeiro

Pubblicato il 3 Settembre 2013

E fica mais lindo por causa do amor

L’impatto con la civiltà metropolitana brasiliana è ruvido, potente. Toglie il fiato già di suo, tende a non restituirtelo affatto se alle spalle hai ammortizzato il jet lag in un villaggio di pescatori semi incontaminato nel sud bahiano. Belo Horizonte, Minas Gerais. Due milioni e mezzo di abitanti censiti – numero quindi da ingigantire -, quasi uno su tre oriundo italiano, una città che non ha nemmeno un secolo e mezzo di storia.
belohorizonteInaugurata sotto i migliori auspici nel 1897, progettata seguendo l’impianto di Washington, battezzata con un nome carico di evocazione e significato dopo la fine della dittatura e la proclamazione della Repubblica, Belo Horizonte ha cozzato presto contro un destino che le ha mandato a puttane le belle intenzioni: lo sviluppo incontrollato dell’agglomerato urbano fuori e dentro le circonvallazioni, migliaia di immigrati in arrivo dall’Europa, l’ingrossarsi a dismisura delle favelas e l’elevazione a potenza delle disuguaglianze sociali ne hanno fatto una metropoli che ha spazzato via l’aspirazione a città ideale pensata per duecentomila abitanti di un secolo prima.
Stacca da chilometri lo skyline dei grattacieli del centro, chilometri che lo separano dal Tancredo Neves – aeroporto in mezzo al nulla – attraversati da un’autostrada immersa tra stabilimenti di multinazionali da un lato – Fiat, Bosch, Denso – e baracche ammassate una sull’altra su ogni tipo di terreno a perdita d’occhio dall’altro. Sotto gli -anta metri dei palazzi della città che ha dato i natali a Max Cavalera ( all’anagrafe, per la cronaca, Massimiliano Antonio) e Dilma Rousseff – più in basso degli -anta non scendono nemmeno i pixação – esattamente quello che ti aspetti ma a cui non sei mai pronto. Nella notte mineira senzatetto in lotta coi ratti fuori dai luccicanti shopping center, disperati che trasportano carretti grandi come autocarri carichi di montagne di ogni rifiuto, facce e corpi rovinati buttati sui marciapiedi tra cartoni e vuoti di cachaça, immondizia a terra ovunque lascia appena intravedere i disegni del lastricato a ricordo dei buoni propositi dei tempi andati. belohorizonteUn’aria pregna di odori e spezie e carne che si addensano tra loro, pesanti nel clima se non altro, finalmente, secco dell’altopiano.
Con la luce del giorno le strade intorno al terminal rodoviario sembrano appena meno marce, non molto peggiori di una qualsiasi Roma Est. Posso solo immaginare quali approfondimenti in materia offrano le interiora della cintura di favelas che cinge per chilometri la capitale, mentre l’autobus si dirige a SudEst. Dove c’è una strada, in Brasile, c’è almeno un autobus che ci porta gente – che dorme – attraverso, dalle città alle più remote lande dell’entroterra. Un traffico e un trasporto merci che si muovono quasi esclusivamente su gomma. Lentamente. Minas Gerais è un grande altopiano di terreni brulli e miniere, terra rossissima e sporadiche aree di servizio da film western, quattrocento chilometri di burroni e monti e serre che l’autobus copre in un giorno intero – come qualsiasi spostamento tra stati confinanti, in Brasile – per entrare nella cidade maravilhosa, Rio de Janeiro.

riodejaneiro riodejaneiroEffettivamente parliamo di una meraviglia del mondo, un centro puntellato dai morros, macchiato dalla foresta di Tijuca, spezzato da laghi e colorato da favelas, slanciato dai grattacieli scintillanti riflessi nella baía di Guanabara. Affacciate sull’Atlantico le ampie, lunghe spiagge che l’hanno resa famosa nel mondo, senz’altro più da cartolina quando il vento non piega le palme fino a terra, ma è inverno e o sol de Ipanema non dora nessun corpo al posto nove. I senzatetto hanno coperte colorate. Una metropolitana ovviamente deserta e inutile non ruba clienti al saturo esausto traffico sull’asfalto in superficie. I residenti, nelle lettere ai quotidiani, si lamentano delle auto posteggiate in divieto di sosta. Annunci fotografici di trans a ogni palo. Ambulanti attrezzati per pagamenti elettronici ma a 50R$ (15€) in pochi hanno resto. Corrente elettrica a 127V e acqua in bottiglie da 510ml. Dell’iconografia che vuole quei culi che ci trasmettono in Europa nemmeno l’ombra: sarà l’inverno, ma i fisici femminili – nulla da eccepire sui maschili -, bianche escluse, sembra soffrano per alimentazioni ipercaloriche.
Credettero fosse la foce di un fiume, quel primo gennaio 1502, i portoghesi che scorsero terra. Sotto le larghe braccia del Cristo redentore – una missione impegnativa proteggere i carioca – un’istantanea che spalanca occhi, bocca, testa. Rio de Janeiro, cinta da mata atlantica, schiacciata a riva da catene montuose terribilmente alte e prossime, interrotta nella sua discontinuità da macchie dense, colorate, rampicanti, si lascerebbe ammirare per ore.
riodejaneiroSarà che sono state “pacificate” in vista di appuntamenti come la giornata mondiale della gioventù – una settimana prima di me, passata quasi senza lasciare traccia a Copacabana – o i mondiali o le olimpiadi. Sarà che si inerpicano su punti panoramici inspiegabilmente ancora non catturati da interessi palazzinari – o forse sì -, sarà che le attraversano servizi pubblici e arriva acqua, elettricità, internet. Sarà che perfino gli alberghi propongono pacchetti “favela tour” con jeep cabrio, sarà che ci sono negozi e probabilmente vendono anche souvenir, ma le favelas del centro sembrano attrazioni turistiche, alla pari di un nucleo storico caratteristico nel moderno teso al cielo che è cresciuto attorno. Almeno, appunto, in centro.
Rio ha oltre mille favelas. Rocinha è la più grande. La più grande favela d’America. C’è chi dice del mondo. Significa “Il mio orticello”, fondata da anarchici italiani dediti all’agricoltura a inizio Novecento. Rocinha, dopo i grattacieli di Ipanema, non concede respiro né zone franche alla città, segna la fine del centro e l’inizio del più grosso e abusato contrasto ricchezza/miseria brasiliano. Da lì in avanti, decine di chilometri non interrompono se non per la strada che li taglia in due una distesa indescrivibile di baracche e disperazione. Questa è la favela che ti aspetti. Ma qui i turisti non fanno foto.
riodejaneiro

La tensione visiva si scioglie in prossimità della Costa Verde.
ilhagrande ilhagrandeCon 365 isole e duemila spiagge, le ricchezze della capitale si sono trasformate in mattoni miranti questi scorci ad alto contrasto che – tra ecomostri e strutture edilizie multipiano fronte mare e villaggi turistici e perverse fantasie di miliardari ignoranti – hanno fin troppo di familiare. Ilha Grande è il pezzo più grande dell’incompleto puzzle tridimensionale che emerge dall’oceano sulla linea del tropico.
Tra Angra dos Reis e Vila do Abraão le barche – al timone solo ragazzini – fanno lo slalom tra petroliere e trivelle Petrobras per consegnare i terrestri tra le zampe di un numero incalcolabile di zanzare in un’umidità mai nemmeno immaginata in tali percentuali dell’isola. ilhagrandeUna manciata di pousadas, qualche agenzia per gli spostamenti in barca tra spiagge – l’interno ai più è impraticabile per la vegetazione e le montagne -, ristorantini e souvenir spesso scadenti e scaduti. Il resto è natura, selvaggia, accesa, lussureggiante. Auto proibite, strade di sabbia, sentieri tra mangrovie e scimmie e bambù e mille altre specie animali e vegetali sconosciute mai viste prima. Poi, dopo chilometri nell’oscurità brillante della jungla, l’urlo del mare anticipa spiagge incontaminate di sabbia bianca, tormentate da onde di tre metri, delimitate da rocce erose in forme oniriche.
Tra lagune di acqua verde trasparente per metri e pesci tropicali sinuosi, tra le baie silenziose e i piccoli moli si respira un’atmosfera atemporale.
ilhagrande Il mare immobile culla impercettibile minuscole imbarcazioni colorate, ormeggiate come da sempre. Il respiro si allinea a quello del cielo, stretto dai monti in una dimensione piccolissima, palpabile. Una sensazione di incompiutezza ti fa allungare le dita, che sembra possano quasi afferrarla. L’aria umida e densa sulla pelle, i colori tenui negli occhi. Una definizione tra i denti che si avvicina a pace, un regalo degli elementi cui non sarà facile rinunciare quando l’oblio avrà la meglio.

13-18 Agosto 2013
_continua
(←parte I) – (parte III→)

Soundtrack:
brasile
Antonio Carlos Jobim, Garota de Ipanema
Tom Jobim, Samba do Avião
Maria Gadù, Shimbalaiê
João Gilberto, Ela é Carioca
Barbatuques, Do Mangue a Mangá



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