RisorgiMarche. E magari InsorgiMarche

Riflessioni tardive, mediocri e fastidiose su RisorgiMarche, Jovanotti e i settantamila di Matelica.

Pubblicato il 8 Agosto 2018

RisorgiMarche ha portato con sé oro merda e melma. A voler spaccare il capello in quattro, come tanto piace a quelli delle mie parti, che come me da fare c’hanno poco e l’odioso internet ha reso orfani delle chiacchiere da bar che il peggior montepulciano generava, insomma, ad attardarsi dietro RisorgiMarche come i cialtroni che siamo ce ne sarebbero di motivi per deprecare questa macchina schiacciasassi, tanto performante quanto autoreferenziale. Con i numeri da capogiro della seconda edizione e nomi di un calibro bellico portati sugli Appennini, non puoi pretendere solo consenso. Ma il mio disinteresse, fino a ieri, era supremo. Avrei continuato a ignorare RisorgiMarche in quanto inutile – ancorché non troppo dannoso – per la mia terra ferita, poi il 5 agosto 2018 Neri Marcorè ha chiuso la rassegna portando Jovanotti alle pendici del Monte San Vicino, a pochi chilometri da dove sono nato e ancora meno da dove vivo. Pieno cratere, per capirci.

jovanotti 1989

Roma, piazza della Repubblica, 1989

Seppur molto combattuto tra un insopportabile snobismo e una pulsione a non perdere il treno perché quando mi ricapita, ho scelto di starci dentro e affrontato strada e temperatura inclementi, con altri settantamila, per prendere parte a questo enorme esperimento sociale tra montagne isolate dalle comunicazioni (uno spettacolo, nessuno che postava, questo sì). Chiariamo un punto: di Jovanotti, dopo gli anni Ottanta (ero un suo fan allora, col cappellino JOVANOTTI GO! già nell’89), oggi me ne fotte veramente moltomamoltomamolto poco, eppure da bravo provincialotto quale sono ho creduto giusto esserci, a un evento di questa portata. Se non altro perché a casa mia. Se non altro ansioso di buttare anche io, ce ne fosse stata occasione, un po’ di merda su RisorgiMarche, ma con sana e conformista cognizione di causa.

RisorgiMarche, il dito e la luna

Fuori tempo massimo, quando ormai ognuno ha detto la sua, un’idea a metà strada tra quella dell’uomo qualunque e quella di un troll me la sono fatta pure io. Chi si lamenta, si lamenta del grosso costo che un grosso esercito come quello di Marcorè richiede, sostenuto in grossa parte dalla Regione Marche (da noi marchigiani, quindi). Soldi che i più idioti lamentano – dal caldo delle loro spiagge assolate – sarebbero serviti più a noi terremotati. Ecco, una critica così debole mi fa pensare che non sia reale, che sia stata creata ad arte. Questa montagna di soldi la Regione non avrebbe potuto usarla per la ricostruzione né per aiutarci, e dubito comunque l’avrebbe fatto se avesse potuto, dati i precedenti. Tutto sommato, inoltre, se parliamo di qualità dell’investimento, di valorizzazione del territorio (quel poco rimasto da valorizzare è la natura, su questo non si discute), di idea e progettualità, RisorgiMarche ha usato bene questi soldi. Tutto possiamo dire tranne che questo evento sia stato improvvisato da dilettanti. L’organizzazione di RisorgiMarche è frutto di professionisti, la gestione di questo festival efficiente ed efficace, e questo è sotto gli occhi di tutti. Criticare l’uso di soldi pubblici fatto da RisorgiMarche è secondo me ingiusto nel merito (Marcorè ha lavorato bene con i miei soldi, pochi cazzi) e stupido nel metodo: insistere su questo dettaglio è accecarsi a guardare il dito (RisorgiMarche) con una super luna (la Regione Marche) a un palmo dal naso.

Questa Regione è la stessa che ti arresta se tiri su una capanna in legno nel cortile della tua casa distrutta dal terremoto, poiché deturpi l’ambiente con abusi edilizi, poi invade habitat protetti con centocinquantamila turisti in parchi naturali. La stessa Regione che ci ha deportato senza troppi giri di parole né convenevoli o salamalecchi su una delle coste più brutte d’Italia e oggi celebra la bellezza di questi monti che ha spopolato. La stessa Regione che ha chiuso i punti nascita della mia terra (Sanseverino, Fabriano) per non farci più nascere qua e ogni giorno sopprime pezzi dei residui presidi ospedalieri per non farci nemmeno più morire a casa, ma oggi sostiene con RisorgiMarche che stiamo rinascendo. Quella stessa Regione che domenica 30 ottobre 2016 è volata a Porto Sant’Elpidio a coordinare Protezione civile e luna park e oggi ci lusinga con eserciti elicotteri e polizia antisommossa per una superstar della canzone italiana. La stessa Regione che ha fatto finta di niente quando negli esercizi commerciali, quelli sopravvissuti al 26 ottobre, per mesi nessuno ha varcato la soglia (strani questi effetti dell’abbandono) e in pochi mesi le serrande sono venute già a centinaia, oggi fa la voce grossa con i numeri di presenze turistiche nelle strutture ricettive rimaste e gli ingressi registrati dagli esercizi commerciali ancora aperti durante RisorgiMarche.

Fatevelo un giro per il corso di Matelica, che ha osptitato Jovanotti, stasera. Contate le vetrine popolate, i bar, la gente. Ecco, capito di che parliamo? Qualsiasi altra popolazione sarebbe insorta, ma qua nel cratere siamo rimasti talmente in pochi e siamo talmente soli e lungo la costa che ne sanno più. Non vorresti crederci, ma poi arriva RisorgiMarche, e in settantamila festanti ti confermano che si può disperare tranquillamente, tra i nostri sonni agitati dalle scosse che non ci hanno mai abbandonato davvero. Loro no.
Arriva RisorgiMarche, in “luoghi simbolo della Resistenza”, che chiude e presidia con le armi qualsiasi strada percorsa dai partigiani (Valdiola, il Monte Pagliano, i prati di Gagliole, il monumento al Capitano Valerio, Elcito. Quel che successe il 24 marzo 1944 su questi monti temo sia stato ignorato da una percentuale altissima dei presenti, come il museo della Resistenza di Braccano) per arrivare a Roti, lasciandone aperta solo una, quella ufficiale, di fatto un frammento poco significativo se letto isolato nella nostra storia della Resistenza.

risorgimarche jovanotti 2018

Roti, Matelica, 5 agosto 2018. Risorgimarche

L’intolleranza ai settantamila

In settantamila. Settantamila. Non vedevo così tanta gente assieme da anni e anni. Il fastidio sarebbe già fisiologico, con la loro immondizia la loro confusione e il loro disprezzo della terra quando in testa hanno solo un concerto, gratuito, che li spinge a fare tutta questa strada che suppongo non immaginassero. Fastidio, senza mezzi termini. Sono ormai intollerante alle popolazioni costiere, al loro “Guardate che bello, qua non c’è nulla!” che ritengo estremamente offensivo per chi in questo nulla ci deve vivere tutti i giorni. Intollerante alle loro infradito su strade sterrate come queste e non attenuano il mio fastidio i loro piedi insanguinati. Infastidito anche dalle dichiarazioni degli organizzatori secondo i quali la nostra popolazione fuggita al mare “vuole tornare a casa”: hanno avuto la possibilità di ottenere casette (anche se oltre un anno dopo), Contributi di Autonoma Sistemazione vantaggiosissimi, hanno oggi la possibilità di affitti ovunque che pagherà lo Stato per chissà quanti anni ancora e case in vendita a stufarsi, da queste parti; ma non sono tornati, dal mare, questi compaesani sofferenti e malinconici. Fatevela una domanda.

Ho sorriso, nei passati concerti di RisorgiMarche, quando mi dicevano che erano la scusa per una passeggiata. Io questa passeggiata, sui miei monti, che vale davvero, la farei senza tutta quella gente; l’essenza stessa della montagna dovrebbe essere il silenzio, la profondità, uomo e natura che si guardano in faccia e non sono particolarmente incline allo Sturm und Drang ma ho imparato a rispettare e amare in questi ultimi anni le montagne che ci hanno difeso per millenni e noi non riusciamo a fare nulla per loro, oggi che ci chiedono aiuto. Non credo che chi ha attraversato Braccano per arrivare a Roti a piedi abbia colto nulla della bellezza di questi monti. Io, che altre volte ho percorso questi sentieri, in mezzo ai settantamila ho vissuto confusione, umanità, colore e festa. Bello, per certi versi, ma dubito qualcuno tornerà su questi prati perché ieri colpito dalla loro bellezza. E anche sul partecipare per un concerto, beh, la parola magica gratis ha poteri illimitati.

Si muovessero per una rivoluzione, tutte queste gambe, avremmo un mondo migliore in un solo giorno. Lungo la discesa torna il segnale e la gente ringrazia Jovanotti. Online una pioggia di GRAZIEEE JOVAAA!!!. Chissà grazie de che. Al monumento ai caduti dell’eccidio di Braccano i turisti bivaccano coi loro smartphone, tutti presi a sottolineare la grandezza dell’artista che salverà il mondo quando alle loro spalle c’è chi è morto per darci la libertà di salire su questi monti a goderci un concerto o scrivere su questo vituperabile supporto parole avvelenate contro tutto e tutti, ma tant’è.

E alla fine, seduto a pochi metri da questo cantautore che tanto male ha fatto al rap italiano – ma anche un po’ di bene, alla fine -, sotto il sole cocente ad alta quota in un primo pomeriggio di agosto, ad ascoltare quello che era il mio idolo nel 1989 parlare anche di tag e BPM, beh, mi sono divertito. Non ditelo troppo in giro, ma mi sono addirittura emozionato.
Dopo tutto questo ciarlare, antipatico e insopportabile come mio solito, ecco, RisorgiMarche è stata un’esperienza che non dimenticherò. L’anno prossimo mi riprometto di partecipare a qualche data in più, magari anche solo per arrabbiarmi un po’, ma le sensazioni sperimentate lassù, a mille metri, dove per qualche istante mi è sembrato quasi di essere solo, possono ripagare di tanto sforzo e sciolgono via la rabbia.

* * *

Sul far della sera, mio padre, rimasto in città e accaldato, cercava refrigerio al tramonto seduto sugli scalini di piazza del Popolo, a Sanseverino. La piazza era deserta, tutti erano sul monte e chi non c’era stava in vacanza o al mare, di sicuro non lì. Jovanotti, sceso dal monte non appena terminato il concerto per una strada di campagna chiusa al traffico, è arrivato in piazza con la moglie e si è seduto sui gradini a pochi metri da mio padre.
«Com’è andato il concerto?», gli ha domandato dopo un po’, per non sembrare scortese già che in tutta la piazza c’erano solo loro. Non sapeva mio padre che lassù eravamo in settantamila e dopo settantamila fan urlanti intorno magari hai anche voglia di non sentire voci umane. «Bene, ci siamo divertiti», ha risposto Lorenzo. Poi s’è preso un pezzo di pizza e se l’è mangiato seduto lì, sul marmo, a godersi il silenzio, per qualche minuto, prima che qualcuno si accorgesse di lui.



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