Istanbul, ai confini d’Europa per nuovi capelli

Il business del trapianto capelli in Turchia, dal Dr Serkan Aygin, raccontato da occhi e capelli estranei

Pubblicato il 1 Luglio 2015

Sentirmi dare del fortunato, in quanto non afflitto da certi problemi, da gente al volante di SLK lo troverei già in sé oltre il limite accettabile del senso del ridicolo, ma in questa quattro giorni di lavoro in terra turca, nella metropoli solcata dal mare tra i due continenti, a quel limite ho imparato ad assegnare valori molto più tolleranti di quattro giorni prima.

Problemi tricologici, quelli in discussione. Ho avuto i dreadlocks, in testa; indi il cranio raso per lustri, beghe epidermiche da quando ancora mi pettinavo e cappelli più o meno presentabili a coprirmi più il viso che la coccia per anni; mio padre era calvo già quand’io nacqui, tic nervosi negli anni peggiori mi hanno fatto arrotolare ciocche di capelli fin quasi al distacco dal cuoio capelluto e testimoni mi hanno riferito lo facessi anche nel sonno e, ad oggi, se escludo qualche estemporanea parentesi, mi avvicino al ventennio di astinenza dai saloni dei parrucchieri. Eppure – me ne sorprendo ogni giorno, io che ero pronto al peggio già decenni fa – in testa ho ancora i capelli. Bianchi, molti; amari, inutili e amorfi, ma sempre loro da quando mamma me li diede.

Tuttavia per tanti uomini la calvizie è un problema. Grave, di quelli che comportano complicazioni psicologiche e scompensi relazionali. A Istanbul, in Turchia, negli ultimi anni s’è sviluppato un business nel settore della chirurgia estetica che, per quanto riguarda il trapianto di capelli, ha trovato in Italia un florido mercato di riferimento per mille motivi – non ultimo il prezzo degli interventi – e mille testimonial, e dopo che Le Iene hanno scoperchiato il vaso – con un servizio che definire discutibile è essere indulgenti – il fenomeno delle vacanze dei capelli è del tutto espoloso.

serkan aygin

Dr Serkan Aygin

Il Dottor Serkan Aygin, in Turchia, è considerato un illuminato del trapianto capelli. Da quando ha iniziato a operare ha eseguito più di 20mila trapianti, contribuendo a rendere nota al mondo quella che oggi è la tecnica più apprezzata nel settore: la FUE (Follicular Unit Extraction, Estrazione di Unità Follicolari) consiste, detto volgarmente, nell’estrazione di bulbi dalla nuca del paziente e nel successivo trapianto dei medesimi nelle zone di calvizie. Da un bulbo nascono fino a quattro capelli. Zero rigetto, zero cicatrici, metodo indolore e – visto coi miei occhi – con risultati di ricrescita stupefacenti già a pochi mesi di distanza. Sottolineo: non ho di questi problemi, se ne avessi probabilmente me ne fotterei dato che ubi maior minor cessat e, soprattutto, non devo vendere a nessuno questa soluzione, quindi se dico che il trapianto funziona è perché l’ho visto/toccato/documentato con mano. E piano piano metteremo tutto online su uno dei nuovi siti di trapianto capelli in Turchia.

Ecco come ci sono arrivato, a fare questo discorso. Dalle mie parti vive (poco) e lavora (tanto) Gianluca Pappalardo, consulente tricologico per l’Italia del Dr Serkan. Da qualche anno lo porta da noi, ogni tanto, in conferenza (in Turchia va in televisione più spesso di quanto un medico italiano potrebbe o dovrebbe; la sua presenza che buca gli obiettivi lo aiuta) per far conoscere i suoi miracoli, al Sud si affollano per conoscerlo e Gianluca – in questo caso in veste di mio “cliente” -, ogni mese, accompagna a Istanbul decine di teste pelate per farle tornare fasciate. Ne partono ogni giorno, dagli aeroporti della Penisola; solo le “quote nazionali” previste da Serkan – lo staff è limitato, bisogna garantire una turnazione tra nazionalità: sarà la posizione strategica tra Oriente e Occidente di Istanbul, ma in questa nuova Casablanca arrivano a centinaia da Qatar, Dubai, Iran, Francia, Russia, Kazakistan, Spagna, USA e altro non ho incontrato in clinica ma non faccio fatica ad immaginare – ne frenano il numero potenzialmente enorme.

Ho preso parte a una di queste spedizioni, per documentare le esperienze degli italiani e registrare passo dopo passo il pacchetto, che comprende volo, hotel, intervento, medicazioni, interprete, spostamenti, garanzia… Una vacanza in una città che da dire ne ha a volontà a prezzi in Italia inpensabili. Ho conosciuto tanti adorabili meridionali e mi sono divertito a immedesimarmi nell’esperienza per raccontarla. Il lavoro svolto là serviva ad allestire il sito trapianto capelli a Istanbul, ma piano piano ricostruiremo pure trapianto capelli Turchia e trapianto capelli in Turchia. Non era la mia prima volta a Istanbul, ma d’estate, per quanto invivibile come ogni megalopoli, guardarsi attorno è tutta un’altra storia.

Da morto di fame quale sono, a momenti non conosco l’esistenza di compagnie non low cost, e trovarmi con la Turkish airline i quotidiani internazionali all’ingresso sul 737 nuovo di zecca, i film e le riprese del terreno nel display, i cuscini, la musica ambient, la partenza che spacca il minuto, i pasti se non buoni almeno decenti a bordo, mi fa sentire il solito viaggiatore fuori luogo, ma il pacchetto non prevede Pegasus airline (né Alitalia, peggiore e più cara senza motivo apparente). Oltre Adriatico, oltre Balcani, l’Atatürk spunta dal mare e si scioglie in un traffico proporzionale al numero di abitanti di questa che sarebbe la più grande città d’Europa, fosse Europa. Non lo è e non le auguro di diventarlo, oggi come un paio di anni fa, ma ancor più oggi che il vento sta cambiando e il sultanismo islamico filoeuropeo di uno dei governi più complessi del mondo occidentale degli ultimi anni, quello di Recep Tayyip Erdogan, sembra stia imboccando la via d’uscita.

istanbul

La Dr Serkan Aygin Clinic è una bella struttura di sette piani che, tra i grattacieli del modernissimo distretto di Şişli, sembra una costruzione modesta. Esattamente come piccolo sembra il centro commerciale Cevahir di fronte alla clinica, disteso su una superficie che ho impegnato mezz’ora a circumnavigare e alto sei piani. Sei piani di centro commerciale. Nel secondo sottoterra mi dicono ci siano anche montagne russe, ma non ho verificato, colto da agorafobia e disgusto già al supermercato – mediocre, oltretutto, rispetto ai nostri – al piano zero. Per completezza di informazione, al piano degli elettrodomestici un frigo combinato Indesit costa tranquillamente il doppio del prezzo italiano.

Nel pacchetto venduto dalle agenzie italiane per il trapianto capelli in Turchia è compreso anche l’accompagnamento costante nei minibus della clinica da e per l’hotel convenzionato, un palazzetto in una discesa che avrà un 45% di pendenza, così a occhio, in stile vittoriano perfetto per film porno o horror. Anche molto meno sporco degli standard turchi. L’Hotel è in pieno centro, proprio sotto Piazza Taksim. Quando misi piede, nel 2013, in quella spianata di cemento e asfalto simbolo di #OccupyGezi trovai polizia in tenuta antisommossa ai lati, idranti disperdifolla agli angoli, militari armati a guardia di palazzi protetti da palizzate. Da battaglia ecologista – contro un progetto di centro commerciale al posto del parco – e urbana, #OccupyGezi si fece rivolta globale per il diritto all’autodeterminazione di un popolo. Era anche inverno e, manifestazioni a parte, ricordo più gente da Zara che in quella tesissima Istiklal. Oggi c’è distensione. La situazione è cambiata, il centro commerciale – che poi sarebbe dovuto divenire un museo, stendo alle intenzioni governative dopo i “terroristi” (definizione governativa) morti in piazza; «Museo solo al primo piano di un altissimo centro commerciale», ci tiene a sottolineare una delle interpreti della clinica quando la presso sull’argomento – sembra non si debba più costruire, che Erdogan non ha ottenuto qualche giorno fa il plebiscito che sperava, anzi. In Istiklal Caddesi gli uomini ballano in gruppo, i turisti fanno shopping alle 3 del mattino, i locali a mezzanotte vietano l’ingresso perché non c’è più posto e un’esagerazione di folla come questa i miei compagni napoletani dicono di non averla mai vista a casa loro – con la densità abitativa che li affligge – così io mi sento appena un poco meno provinciale ma quest’inferno, sarà che è estate, sarà che è venerdì, è invivibile per strada. Anticorpi metropolitani per sopportare tre milioni di persone al giorno in una sola via non li ho e, vista l’età, ormai mi rassegno a non averli e a tenermi l’horror vacui della provincia.

Non migliora la situazione fuori dalle aree pedonali: Istanbul sembra vivere in perenne stato di emergenza con un traffico da bolgia dantesca, pirati e Mercedes senza targa, un’affollamento insopportabile – e una misteriosa assenza di microcriminalità – in una Babele sconfinata, capitale di uno Stato che aumenta il suo PIL del 5% ogni anno con 78 milioni di abitanti e un primo ministro che raccomanda alle sue connazionali di fare almeno tre figli, cresciuta troppo nella stretta terra europea affacciata sul Bosforo. Nemmeno in Asia i grattacieli non hanno lasciato spazio all’immaginazione e tra autostrade, blocchi residenziali da 40 piani e mega mall, in Anatolia come in Tracia, prendessi chiunque a sua insaputa e lo calassi qui dubito saprebbe distinguere in quale metropoli del mondo occidentale si trovi, tanto sono tutte uguali e tutte più o meno brutte negli elementi commerciali espressione della dominazione capitalista che ne ha livellato differenze ed identità.

Istanbul

Parchi ospedalieri di centinaia di metri verso il cielo indicano che ormai, in Turchia, il turismo medico è una realtà affermata: candidata all’entrata nell’Unione Europea, si è già adeguata agli standard europei in materia sanitaria. Tra ospedali e cliniche private all’avanguardia, con ovviamente un relativo grande numero di medici, sono più di 50 gli ospedali turchi accreditati dalla Joint Commission International, quasi 30 solo a Istanbul (in tutta Italia ce ne sono 24). Attrazioni turistiche, vicinanza geografica, prezzi bassi e la qualità dei servizi hanno naturalmente portato Istanbul a farsi capitale occidentale per interventi di protesi dentaria, chirurgia estetica, tricologia, fecondazione assistita, cardiologia, tumori addirittura. Parlando di trapianto capelli, si spende 1/4 del costo medio italiano, in Turchia, per risultati irraggiungibili dalle nostre parti, mi dicono, vuoi per l’enorme concentrazione di chirurghi vuoi per l’ancora superiore numero di interventi quotidianamenti posti in essere.

Nei ristoranti in centro donne in niqab sollevano il velo dalla bocca per mangiare ciliegie grandi come albicocche, per le strade venditori di caldarroste incuranti dei 32 gradi segnati dal termometro, il cielo puntellato di lampade cinesi, non un tatuaggio in nessuna parte del corpo scoperta dei tanti ragazzi che incrocio. I primi in lista, foggiani e casertani, avranno l’intervento domattina; i napoletani, in programma domenica, pianificano la visita turistica tra centro storico e Bosforo sul battello. Teste fasciate, in giro, appena trapiantate, se ne vedono direi centinaia e non esagero; arabi, soprattutto. Non so se giù nella penisola arabica i capelli cadano di più o se ci tengano particolarmente o se i petrolfantastiliardi impongano canoni estetici che, da noi, per ora sembra attecchiscano forte solo al Sud, ma guardandomi in giro riconosco un’invasione silenziosa di teste scure trapiantate che non avevo notato, l’ultima volta che vidi Istanbul.

Nell’inestricabile traffico i tassisti si rifiutano di attraversare il ponte sul Bosforo – stimano, per poco più di un chilometro, fino a quattro ore – e ti lasciano al molo dei traghetti per la traversata via mare. Giorno e notte, in centro, passeggiano mignotte che si spacciano per massaggiatici, provocatori transgender e bambini di una provenienza che non saprei definire – Kurdistan? Siria? Georgia? Armenia? – che da noi sarebbero semplicemente “Rom” rubano cibo dai piatti dei turisti più distratti, in centro. Il rosario nelle tasche dei napoletani, la loro ansia per il test dell’HIV. In farmacia decine di varianti di Viagra in vendita a due soldi senza ricetta. Qualcuno dei trapiantandi non apre bocca per ore, fissa il suolo, alza lo sguardo per errore e per spaventare con le occhiaie e la tristezza e spero non sia solo per i capelli caduti perché non basterà un trapianto a scacciare l’abisso nel quale avete guardato.

A Istanbul, la domenica, fare colazione assieme è un rituale. «Voi andate a messa, noi a colazione», scherzano gli interpreti, con i quali alla fine parlo solo in inglese per quanto lo detesti ma rendo loro la vita più facile. Finalmente il traffico sembra addormentarsi, il Dr Serkan si muove sul suo minibus oscurato e dagli interni in pelle con noi dentro tra salite e discese e gatti liberi e cani dormienti e fruttivendoli ovunque fino a un terrazzo immerso nel verde in riva al Bosforo più vicini al Mar Nero che a Sultanahmet. Ho visto Serkan lavorare in clinica, molto professionale, serio, uno sguardo determinato sopra ogni testa, con un’espressione concentratissima, sabato e domenica e feriali senza differenza; ma ora, in questo paio d’ore di pausa, sotto il sole di giugno, con quest’abbondanza di delizie dolci e salate sotto i denti, appare rilassato, sorridente, bellissimo. Emana luce.

Serkan Aygin

«Se non accontentiamo qualcuno noi non può farlo nessuno», confessa informalmente Serkan che lo sa di essere il migliore. Ormai ogni settimana fa il giro delle migliori cliniche di Istanbul che lo chiamano. Vorrebbe vivere a Napoli, «Stessa confusione che a Istanbul», e in Italia perché «Non c’è al mondo Paese con la vostra bellezza». Ma nel frattempo anche aprire in centro un piccolo ristorante tipico siciliano. Chissà perché proprio siciliano. Si immagina lì dentro abiti tradizionali e canti popolari, e provo a spiegargli che queste linee non andrebbero bene nemmeno a Las Vegas ma non so se lo convinco. Ha girato il mondo, Serkan, operando dagli USA – dove questo tipo di intervento costa 20mila dollari – alla Russia, ma è del Bel Paese che è innamorato. Confrontiamo gli stili di vita e già fantastichiamo di trasferimenti, business incrociati, esportazione di tipicità… Poi torniamo coi piedi per terra, al costo della vita esagerato di Istanbul – gli affitti, e molti beni di consumo, costano il doppio dell’Italia – al basso reddito dei lavoratori turchi – un operaio guadagna sui 400 euro al mese -, agli scarsi diritti, alle spinte indipendentiste delle regioni orientali e ai drammi umanitari di cui ci siamo insanguinati le mani che premono ai confini. All’orrore del sistema capitalista che sta facendo marcire il mondo.

istanbul All’ingresso della clinica gli autisti dei minibus improvvisano partite a carte su tavolini di cartone bevendo the. Santa Sofia e la Moschea Blu si fronteggiano come da secoli, in cima al colle più bello sul Corno d’Oro. Le canne dei pescatori sul ponte di Galata oscurano i quattro minareti di Solimano. Lungo l’autostrada per l’aeroporto i bambini vendono acqua, all’ombra dei cavalcavia, alle auto ovviamente bloccate nel traffico.

«Questo è l’ultimo tentativo. Se non funziona, lascio perdere e mi tengo la testa pelata», la dichiarazione che condividono un po’ tutti di fronte al tabellone delle partenze all’Atatürk. Ne riparleremo tra qualche mese. I testimonial dell’intervento, da anni, vantano ciuffi invidiabili a garanzia della vacanza tricologica che questi ragazzi da Napoli, Grosseto, Roma, Crotone, Foggia e ogni giorno da altri lidi hanno pagato due soldi per tornarsi a guardare allo specchio come piacerebbe loro.



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